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Cos'è la pratica MAGICA ?

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Nella pratica magica è sempre necessario un celebrante, genericamente definito mago, che determina un cambiamento di status operando con metodi i quali, pur avendo una base a livello naturale, sono diretti ad attivare forze soprannaturali.
Il termine "mago" è però assai generico e presenta uno spazio semantico molto ampio: con tale nome, infatti, si identificano persone diverse, con specializzazioni molto variabili.

Di fatto vi è una notevole differenza tra uno sciamano tunguso e un mago che opera nella cultura occidentale, magari davanti alle telecamere. Va da sé, quindi, che ogni fenomeno debba essere analizzato nel contesto specifico in cui il mago organizza la sua pratica.
In genere, cercando di valutare la struttura dell'azione magica, isolare elementi caratteristici, generalizzati e ricorrenti: - strumento catalizzatore; - rituale; - formula; - contesto culturale favorevole all'affermazione delle credenze; - forte condizionabilità dei soggetti coinvolti; - relativa estraneità alla religione; - limitate conoscenze scientifiche.
Il rito magico, agendo direttamente e senza bisogno di un riferimento a un'entità soprannaturale, si pone in un ambito privo di parametri fissi, necessari alla razionalità quando essa tenta di stabilire le regole dell'esperienza quotidiana.
Nel mito si opera attraverso immagini e ricostruzioni mentali, nel rito con oggetti, parole e manipolazioni. "Il rito può includere enunciati verbali (formule, invocazioni, canti), così come può non includerli; tuttavia anche quando è muto utilizza, applicandolo agli oggetti, il medesimo meccanismo combinatorio del linguaggio.
Se nella comunicazione verbale il senso non risiede nei singoli fonemi ma nella loro combinazione, così nel rito il messaggio non è trasmesso dagli oggetti che vengono manipolati, ma dall'organizzazione interna della configurazione simbolica di cui fanno parte. In sostanza il rito costituirebbe un processo di categorizzazione non verbale della realtà, destinato a immagazzinare e trasmettere informazioni complesse" (E.Scarduelli, 1994). Secondo Evans-Pritchard la magia scaturirebbe da uno stato di tensione: "quando l'uomo è travolto dall'odio o dall'amore o da altri sentimenti, quando non può trovare alcun altro rimedio", ricorre alla magia, che di fatto sarebbe un'attività simbolica di "carattere sostitutivo di una funzione catartica e strimolante" (Evans-Pritchard, 1971).
La precarietà del sistema esistenziale è quindi il motivo dominante posto alla base della scelta magica, una scelta che a livello popolare è sempre stata caratterizzata da un'amalgama tra empirismo, mito e religione. Questo alimenta la volontà, insita nell'uomo, di infrangere le regole prestabilite da un ordine superiore e invalicabile. Infatti, il senso della magia non deve il suo consolidamento solo agli archetipi e alle memorie rituali più antiche, ma anche alle incertezze dei contesti storici che favoriscono l'affermazione della ritualità.
La magia finisce così per essere una sorta di reazione allumano terrore della storia. Essa, con le sue forme simboliche che evocano situazioni arcaiche, mette in scena la ripetizione dell'atto cosmogonico e la rigenerazione periodica del tempo primigenio. Inoltre il sapere magico, fatto di un proprio specifico corpus di credenze e di miti, ha sempre dimostrato una certa impermeabilità alle trasformazioni sociali. Anzi, questo patrimonio di sapienza naturale è diventato punto di forza all'interno delle culture emarginate, nella loro lotta contro i poteri dominanti.

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